di Nadia Valsecchi
La violenza contro le donne è un fenomeno globale e una violazione dei diritti umani che ha un forte e serio impatto sulle vittime, ma anche sulle comunità e società a cui queste appartengono. Nello specifico, la intimate partner violence (IPV) comprende qualsiasi atto o minaccia che coinvolga violenza di qualsiasi tipo (fisica, psicologica, economica o sessuale) effettuata o ricevuta durante una relazione intima.
La World Health Organization (WHO) e la comunità scientifica evidenziano le molte conseguenze negative per le donne vittime di violenza: problemi di salute mentale tra cui depressione, ansia e distress psicologico, autopercezione della propria salute come carente e sintomi psicosomatici, oltre che diversi problemi di salute sessuale, come una maggior probabilità di contrarre HIV e sifilide, e riproduttiva, come una maggior probabilità di partorire un neonato sottopeso e di aborto indotto.
Con l’inizio della pandemia da COVID-19 che ha costituito una crisi sanitaria e sociale prolungata a livello internazionale, i crescenti livelli di violenza domestica sono diventati sempre più preoccupanti: se prima della pandemia una donna su tre riportava di essere vittima di violenza domestica, la prevalenza del fenomeno è triplicata per donne e ragazze con l’inizio dell’emergenza sanitaria.
Perché si è verificata questo rapido aumento di segnalazioni? Numerose ricerche hanno individuato come si verifichi un’impennata delle richieste di aiuto ai centri antiviolenza in seguito a disastri naturali e come questa crescita si mantenga anche nell’anno successivo all’evento catastrofico (Parkinson, 2019).
È così che si è creato il ‘paradosso della pandemia’ (Bradbury-Jones & Isham, 2020).
Infatti, molte delle misure sociali individuate per ridurre i contagi e quindi salvare vite coincidevano con le strategie più efficaci proprie delle relazioni abusive: oltre all’isolamento fisico all’interno delle proprie case, si parla di isolamento sociale e funzionale (quando le reti di supporto non sono disponibili) e possibilità di controllo delle attività quotidiane.
Queste misure, unite ad aumentati fattori di stress economici e psicologici e al ricorrere con maggior frequenza a strategie di coping negative (come il consumo eccessivo di alcool), spiegano la crescita di segnalazioni di violenza domestica durante questo specifico periodo (van Gelder et al., 2020, Sharma & Borah, 2022).
Come è stata affrontata la situazione della violenza di genere, nello specifico del fenomeno di IPV, durante la pandemia da COVID-19?
Sin dall’inizio, sono state numerose e tempestive le ricerche che, a scopo divulgativo, hanno portato l’attenzione sull’aumento dei casi di IPV e che successivamente hanno cercato di individuarne le cause e le strategie di intervento più adeguate.
L’utilizzo delle piattaforme digitali per mitigare il fenomeno della violenza domestica è stato cruciale durante la quarantena. I benefici di interventi di questo tipo erano già stati individuati prima della pandemia, ma con l’emergenza sanitaria ne è cresciuto il bisogno poiché i CAV non avevano risorse fisiche sufficienti per far fronte alla domanda d’aiuto e all’applicazione dei protocolli di sicurezza per prevenire il contagio, che si aggiungeva al carico di lavoro.
Le soluzioni tecnologiche sono state fondamentali nella costruzione di una strategia di prevenzione che ha permesso di costruire una consapevolezza sociale e collettiva di questa pandemia parallela soprattutto grazie ai contenuti divulgati su social media, fruibili da un ampio target di persone.
Linee telefoniche dirette e servizi via chat gratuiti disponibili h24 e 7 giorni su 7, integrati con altri servizi digitali come tele-counseling e incontri di gruppo online con altre vittime, sono stati invece strumenti fondamentali per garantire aiuto, supporto e intervenire anche durante il periodo di isolamento sociale e fisico.
Anche gli interventi digitali hanno comunque delle barriere di accesso importanti, di cui bisogna tenere conto durante la loro progettazione e realizzazione:
- Problemi di connessione, soprattutto in aree con una bassa o assente copertura della fibra internet;
- Persone con bassi livelli di alfabetizzazione digitale o scarso accesso a dispositivi;
- Paura da parte dell’utenza a utilizzare servizi online che richiedono la condivisione di informazioni personali e sensibili;
- Paura da parte dell’utenza che la persona violenta possa controllare, intercettare e scoprire le richieste di aiuto online.
E dopo la fine della pandemia? Gli interventi digitali per contrastare la violenza di genere domestica hanno continuato ad integrare gli interventi tradizionali? Sono ancora molto poche le evidenze scientifiche che hanno valutato la situazione attuale del fenomeno e delle conseguenti soluzioni proposte, ma la ricerca continua a individuare nuovi metodi per ovviare agli ostacoli degli interventi digitali in modo da renderli sempre più utili, sicuri e versatili.
La chiave è sicuramente prioritizzare la voce, il punto di vista e il benessere delle vittime nella progettazione e realizzazione di interventi per contrastare il fenomeno della violenza di genere in tutte le sue forme, e continuando a sensibilizzare l’opinione pubblica in ottica preventiva.