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Endometriosi e comorbilità: nuove prospettive per nuove frontiere di trattamento.

Endometriosi e comorbilità: nuove prospettive per nuove frontiere di trattamento.

di Silvia D’Antona e Elisabetta Todaro

Quando ascolto una paziente,
capisco che l’endometriosi non è mai stata davvero silenziosa
(Andrea Vidali, chirurgo).

 

L’endometriosi è una condizione cronica, caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale al di fuori dell’utero. Si stima che una quota compresa tra il 2% e il 10% delle donne in età riproduttiva ne sia affetta. La criticità che è più chiaramente giunta all’attenzione clinica e del dibattito sociale è stata quella del tempo necessario per ottenere il riconoscimento diagnostico e, conseguentemente, opportune strategie di intervento. Negli ultimissimi anni, grazie al lavoro clinico e di ricerca in ambito scientifico internazionale, le diagnosi tempestive sono fortemente in aumento.

Alla luce di questo dato, cosa è possibile ancora considerare “silente”?

La risposta, tra le più innovative in tema di conoscenza dell’eziopatogenesi, è legata all’associazione, statisticamente significativa, tra l’endometriosi e una serie di altre malattie autoimmuni.

Nonostante i progressi in questo settore, l’eziologia dell’endometriosi è in gran parte, ancora, inesplorata, con una serie di ipotesi clinicamente significative da approfondire. Una di queste sembra prendere la direzione dell’individuazione di alcune anomalie del sistema immunitario.

L’ipotesi che porta ad approfondire questo tipo di comorbilità deriva da studi effettuati sulla popolazione femminile affetta e fornisce un riferimento per l’implementazione di interessanti upgrade degli attuali standard diagnostici e di trattamento.

Cinque di ventisei studi pubblicati (i quali hanno soddisfatto tutti i criteri di eleggibilità e inclusi nella revisione) sono stati in grado di fornire prove di alta significatività, sostenendo un’associazione statisticamente rilevante tra l’endometriosi ed almeno una malattia autoimmune. Ciò fornisce una grande opportunità: acquisita l’ipotesi della potenziale coesistenza fra endometriosi e malattie autoimmuni, sarà possibile rivolgersi alla sintomatologia delle pazienti con un nuovo sguardo clinico, più approfondito e specifico, utile al fine delle ipotesi diagnostiche.

Gli studi che hanno evidenziato una possibile associazione tra endometriosi malattie autoimmuni, sono giunti a riscontrare, in particolare, alcune patologie, tra le quali: il lupus eritematoso sistemico (LES), l’artrite reumatoide (AR), la celiachia (CLD), la sclerosi multipla (SM), la malattia infiammatoria intestinale (IBS), la fibromialgia (FM).

Tali approfondimenti possono aiutare lo sviluppo di nuovi farmaci non ormonali (come gli immuno-modulatori).

 Alla luce di queste considerazioni, un quesito (utile per il momento diagnostico, così come per il trattamento) porta a chiedersi: quali sono le conseguenze e le difficoltà che le pazienti con diagnosi multiple sono costrette ad affrontare?

Lo stato clinico di sovrapposizione di più malattie – recentemente definito come Chronic Overlapping Pain Conditions (COPCs) si sta fortemente diffondendo a livello di riscontro clinico.

Le prove sempre più evidenti dimostrano che milioni di persone, in particolare le donne, soffrono di molteplici patologie da dolore, che condividono meccanismi affini (principalmente a carico dei sistemi neurologico, endocrino e immunitario), spesso associati a disturbi del sonno, dell’umore, della faticabilità e a disturbi cognitivi.

Numerosi dati dimostrano una serie di effetti deleteri all’aumentare del numero di COPC, tra cui: peggioramento dei sintomi del dolore localizzato e sistemico, riduzione della qualità di vita e delle capacità di far fronte agli impegni lavorativi e di partecipazione sociale, aumento dei livelli di invalidità nelle funzioni globali della persona, aumento dei costi di cura e marcato peggioramento del livello di benessere percepito.

Queste donne descrivono sentimenti di frustrazione a causa della disinformazione che purtroppo, fino a pochi anni fa, caratterizzava il difficile riconoscimento dell’endometriosi e delle malattie ad essa correlate. Fortunatamente, le nuove ricerche e l’aumento dell’attenzione clinica e pubblica in tal senso, permettono al sistema sanitario e all’ambito di ricerca uno sguardo più mirato verso le pazienti e delle risposte meno frammentarie. Pertanto, il modello biopsicosociale è quello che offre l’approccio migliore alle COPC.

Dove gli operatori di diverse discipline possono lavorare in squadra per gestire il dolore cronico e le conseguenze psicologiche che esso comporta? Un trattamento multimodale e interdisciplinare, basato sul modello biopsicosociale, è fondamentale per affrontare le complessità delle condizioni cliniche e di vita delle pazienti, supportandole da molteplici punti di vista. Questo passo inizia con la promozione della comprensione della complessità fisiopatologica delle COPC.

La predisposizione genetica e le esposizioni ambientali si combinano per aumentare il rischio di sviluppare e mantenere le COPC attraverso l’amplificazione anomala del dolore e il disagio emotivo, moderati da fattori provenienti da più sistemi corporei.

I pazienti affetti da COPC possono presentare un numero e un tipo di condizioni diverse, che richiedono un approccio mirato e personalizzato. Ad esempio, una paziente affetta da endometriosi, fibromialgia, cistite interstiziale e disturbo d’ansia richiede certamente una valutazione e un piano di trattamento diversi, rispetto ad una paziente con sindrome del colon irritabile, vulvodinia, depressione e disturbi del sonno.

Tra le modalità più utili per ripristinare la salute fisica ed emotiva delle pazienti troviamo lo sviluppo di obiettivi funzionali.

La società di ricerca ha dimostrato che essi aiutano a promuovere l’aderenza alle raccomandazioni del medico e a migliorare la comunicazione; consentendo anche di valutare i progressi e d’identificare i potenziali ostacoli, sviluppando un piano d’azione per affrontarli.

In conclusione, si può affermare che essere venuti a conoscenza dell’esistenza di una correlazione fra l’endometriosi e svariate malattie autoimmuni conduce verso un duplice risultato.

Da una parte riscontriamo pazienti che possono ricevere diagnosi tempestive e risposte adeguate, creando connessioni sempre più coerenti e significative in quadri patologici che, fino a poco tempo fa, sembravano frammentati. Dall’altra parte i medici, lavorando in équipe, possono potenziare le risorse di rete ed incrementare nuove prospettive di trattamento, volte a migliorare non solo la salute mentale e fisica delle loro pazienti, ma anche i servizi offerti dallo stesso sistema sanitario.

Silvia D’Antona
Elisabetta Todaro