Fino alla fine degli anni Novanta, la ricerca scientifica si è occupata solo in minima parte delle disfunzioni sessuali femminili (DSF), le quali sono state classificate in modo speculare alla definizione dei disturbi maschili, senza tener conto di alcune peculiarità della sessualità della donna. Da questa prospettiva, pur essendoci delle significative somiglianze anatomico funzionali tra la sessualità maschile e quella femminile, rimangono comunque delle differenze dal punto di vista psicologico e dell’esperienza sessuale che non ci consentono di considerare le DSF nello stesso modo in cui intendiamo quelle maschili. Infatti, nonostante la presenza di disturbi organici, sono molto più spesso i fattori psicosociali, emozionali e/o relazionali a determinare l’insorgenza e/o il mantenimento di un disturbo sessuale nella donna.
Proprio per questi motivi, recentemente gli specialisti del settore (sessuologi clinici, medici, psicologi) hanno mostrato grosse perplessità nel continuare ad inquadrare i disturbi sessuali riportati dalle donne nelle classificazioni esistenti. In occasione della I e II Consensus Development Conference on Female Sexual Dysfunction (2000, 2005), è nato il tentativo di risolvere questo problema, attraverso la proposta di una nuova classificazione delle disfunzioni sessuali femminili che, pur mantenendo una certa continuità con i criteri diagnostici del DSM-IV-TR (2000) e dell’ICD-10 (1992), ha apportato alcune modifiche importanti. Tra queste novità, la più interessante è il riconoscimento del personal distress, cioè il sentimento soggettivo di malessere riportato dalla donna in relazione ad una disfunzione sessuale, come criterio fondamentale della diagnosi. L’esperienza clinica dimostra come, per le donne coinvolte in relazioni stabili, altri fattori, soprattutto non sessuali, possano diventare componenti preponderanti nell’accendere e portare avanti in modo soddisfacente lo scambio sessuale. In aggiunta, la risposta sessuale delle donne non sembra affatto stabile e costante nel tempo: ad esempio, può essere strettamente interconnessa con la variabilità indotta dalle alterazioni del ciclo mestruale, dalla gravidanza, dal puerperio, dalla menopausa e, in ciascuno di questi casi, per ragioni sia biologiche, sia psichiche che relazionali.
Sulla base di tali recenti formulazioni teoriche, le disfunzioni sessuali femminili vengono suddivise in: disturbi del desiderio, disturbi dell’eccitazione, disturbi dell’orgasmo, disturbi caratterizzati da dolore.
I disturbi del desiderio: il desiderio, soggettivamente sperimentato, nasce da un insieme di fattori che sono allo stesso tempo biologici, psichici e relazionali e che, influenzandosi reciprocamente tra loro, contribuiscono ad alimentare e modulare il desiderio stesso.
In merito a questo argomento, Basson et al. (2005) hanno elaborato un modello circolare della sessualità femminile che, prendendo le distanze dalla visione lineare della sessualità basata su uno schema sequenziale tipicamente maschile, introduce un importante elemento di novità: l’associazione tra la fase fisiologica di risoluzione dell’eccitazione ed il processo di valutazione dell’esperienza vissuta in termini di soddisfazione/insoddisfazione.
In altre parole, desiderio ed eccitazione tenderebbero ad influenzarsi e a rinforzarsi reciprocamente in un meccanismo nel quale l’esperienza sessuale giudicata positivamente (sia dal punto di vista fisiologico dell’eccitazione che da quello affettivo del desiderio) condurrebbe ad un incremento del desiderio, mentre quella giudicata negativamente ad un suo calo progressivo.
In base a quanto riportato dalle ricerche in campo internazionale, le donne lamentano una vulnerabilità ai disturbi del desiderio doppia rispetto agli uomini (33% vs 16%). Nello specifico, gli studi condotti in Europa ne indicano un’incidenza nella popolazione femminile che varia dal 21% al 34%, con un progressivo incremento all’aumentare dell’età. In contraddizione con quanto riportato
da questi studi, l’esperienza clinica degli ultimi anni dimostra che nell’incidenza dei disturbi del desiderio, il rapporto fra i due sessi tende ad equipararsi.
Disturbi dell’eccitazione: l’eccitazione sessuale della donna è un fenomeno prevalentemente mentale e soggettivo che non sempre è accompagnato dalla consapevolezza dei cambiamenti vasocongestivi genitali ed extragenitali.
La complessità evidente del fenomeno dell’eccitazione femminile, sia da un punto di vista biologico che psichico, ha stimolato la riflessione sull’opportunità di distinguere all’interno di questa ampia categoria, quattro tipologie diverse di disturbo che riprendono le differenti situazioni cliniche presentate dalle donne.
Nel disturbo soggettivo dell’eccitazione sessuale le sensazioni mentali derivanti da qualsiasi tipo di stimolazione sessuale sono marcatamente diminuite o assenti, tuttavia, possono comunque essere presenti la lubrificazione vaginale o altri segni di eccitazione. Questa categoria sottolinea quanto le donne sperimentino soggettivamente un diverso grado di consapevolezza dell’eccitazione sessuale genitale, sia per quelle donne che riportano una soddisfacente vita sessuale che non.
Nel disturbo genitale dell’eccitazione sessuale si manifesta una mancata o ridotta eccitazione sessuale genitale, rispetto alla quale la donna può riferire una minima risposta di congestione vulvare e/o di lubrificazione vaginale (a qualsiasi tipo di stimolazione) e ridotte sensazioni sessuali nelle carezze genitali. L’eccitazione sessuale soggettiva, mentale, può tuttavia essere presente grazie a stimoli sessuali non genitali, ma spesso questa condizione presenta specifiche cause biologiche, che devono essere accuratamente diagnosticate o escluse in un’appropriata diagnosi differenziale.
Nel disturbo misto, soggettivo e genitale dell’eccitazione sessuale si rileva un’assenza o una marcata riduzione di sensazioni di eccitazione sessuale, associata ad un’assente o diminuita eccitazione sessuale genitale (congestione vulvare, lubrificazione vaginale) in risposta a qualsiasi tipo di stimolazione sessuale. Secondo recenti ricerche, questa condizione viene riportata in consultazione nella maggioranza dei casi in cui sia presente un disturbo dell’eccitazione.
Infine, nel disturbo dell’eccitazione sessuale persistente l’eccitazione sessuale genitale (congestione, lubrificazione) è spontanea, intrusiva e non desiderata, in assenza di desiderio e di interesse sessuale; nello specifico, la consapevolezza dell’eccitazione sessuale è tipicamente spiacevole e non è ridotta da uno o più orgasmi, inoltre, essa può persistere per ore o giorni e più.
Disturbi dell’orgasmo: secondo le ultime indicazioni nosografiche, il disturbo dell’orgasmo viene definito come una marcata riduzione d’intensità delle sensazioni orgasmiche o marcato ritardo nell’orgasmo in risposta a qualsiasi tipo di stimolazione sessuale e nonostante la presenza di un alto livello di eccitazione sessuale soggettiva. Proprio in funzione del criterio diagnostico del personal distress, il rilassamento orgasmico della tensione sessuale può o meno subentrare senza che sia necessariamente avvertito dalla donna come disfunzionale. In aggiunta, non va sottovalutata l’importanza che il contesto storico e culturale riveste nell’attribuzione dei diversi significati dell’orgasmo femminile. Attualmente, non esistono scoperte empiriche coerenti a sostegno di una costellazione di elementi che separano le donne orgasmiche da quelle non orgasmiche. La capacità e/o possibilità di una donna di provare l’orgasmo sembra essere influenzata da tutta una serie di fattori che vanno da quelli di carattere neuroanatomico e fisiologico, a quelli psicologici e socioculturali e/o di interazione.
Disturbi caratterizzati da dolore: il dolore è molto di più di un semplice sintomo che lascia le sue tracce solo a livello fisico; esso è influenzato dalle emozioni e dalle condizioni sociali ed ambientali, ed essendo perciò diverso per ciascun individuo, risulta un’esperienza di non facile inquadramento. La dispareunia è inserita all’interno di questa categoria ed è definita come persistente o ricorrente dolore genitale durante i tentativi di penetrazione o durante la penetrazione completa vaginale nel rapporto sessuale. L’etiologia di questo disturbo ha una forte componente organica, variamente intrecciata a fattori psicodinamici e relazionali che devono essere diagnosticati facendo riferimento ad un’accurata mappa del dolore. Recentemente, Binik et. al. (2000), alla luce delle molteplici etiologie possibili all’insorgenza del disturbo, hanno sottolineato la necessità di riferirsi a questo tipo di condizione adottando un nuovo termine: “dolore pelvico o vulvovaginale”.
Sulla base della categorizzazione e concettualizzazione proposta da Binik e collaboratori, l’approccio clinico alla dispareunia dovrebbe prevedere la presenza di un’équipe multidisciplinare, che collabori per esaminare i diversi aspetti del dolore: neurologico, muscolare, affettivo e relazionale.
Insieme alla dispareunia, i disturbi caratterizzati da dolore comprendono un altro problema che per decenni ha sconcertato e affascinato al tempo stesso gli specialisti del settore: il vaginismo. Quest’ultimo viene definito come una persistente o ricorrente difficoltà della donna ad accettare la penetrazione del pene, di un dito o di un oggetto, nonostante l’espresso desiderio di farlo. Si riscontrano spesso un evitamento fobico e una paura anticipatoria del dolore, mentre le anomalie anatomiche o altre anomalie fisiche devono essere escluse o trattate.
In generale, sembra che le percentuali di vaginismo oscillino tra il 12% e il 17% delle donne che si rivolgono alle cliniche di terapia sessuale; contemporaneamente, secondo i dati dell’Istituto di Sessuologia Clinica, il vaginismo è la problematica più frequente della donna in coppia, insieme alla difficoltà nel raggiungimento dell’orgasmo e nel 50% dei casi esso si associa significativamente con la disfunzione erettile nel partner.
In conclusione, la natura multidimensionale della sessualità femminile, legata ad aspetti quali l’ideale di femminilità, lo stile di vita, le relazioni, i fattori biologici e la vita affettiva, impone un inquadramento multifattoriale del disturbo sessuale. Per queste ragioni un approccio integrato alla paziente sessuologica sembra essere, come supportato dalla letteratura internazionale, l’intervento d’élite, sintetizzando al meglio le esigenze medico-psicologiche che sono alla base del trattamento delle disfunzioni sessuali. In base a queste premesse è evidente che lo studio delle disfunzioni sessuali femminili dovrebbe utilizzare un’ottica rivolta alla comprensione ed all’integrazione delle diverse cause che hanno determinato l’insorgenza del sintomo così come alla comorbidità del disturbo nella coppia, considerata come “luogo” d’intersezione tra disagio individuale e disagio relazionale.