L’interesse degli studi accademici sulla comunicazione tramite social network ha avuto, negli ultimissimi tempi, un’impressionante impennata.
Tale tendenza non è probabilmente da attribuire solo alla necessità, da parte degli studiosi, di dare un nome ed una lettura alle dinamiche che viviamo quotidianamente, ad essere cresciuta è anche la curiosità di noi fruitori di tali mezzi di condivisione.
Raccontarsi tramite Social: un fenomeno in crescita
Una foto non è più solo un’immagine statica, è un modo per raccontare, aggiungendone altre in tempo reale, il nostro “stato”: dove siamo, con chi siamo, cosa stiamo facendo e provando.
La particolare forma di narrazione possibile, inoltre, permette agli altri di interagire su queste informazioni, proprio come accadeva in passato nel teatro di avanguardia, in cui performers e pubblico superavano il limite del palcoscenico e interagivano, portando la storia verso finali diversi per ogni serata.
Come ci si racconta?
Basandosi sull’analisi delle modalità con cui la maggioranza delle persone seleziona il materiale (soprattutto fotografico) da pubblicare sui social network, alcune ricerche hanno provato a tracciare delle considerazioni generali. Alcuni pubblicano foto che evidenziano le performance lavorative (con costanti aggiornamenti sugli spostamenti e sulla distanza dei luoghi).
Altri puntano tutto sul racconto della loro vita sentimentale e familiare (postando i progressi nutrizionali del bambino o la piacevolezza del fine settimana con l’amore di una vita che è ancora una fidanzata premurosa).
Per altri, ancora, il focus dell’obiettivo fotografico è tutto su di sé: sono coloro che si raccontano quasi esclusivamente tramite selfie e che mettono al centro l’estetica e la fisicità, talvolta in modo decisamente più esplicito delle categorie precedenti.
Tipologie di racconto e presunta disponibilità, esiste una relazione?
Riferendosi, in particolare, a questi ultimi contenuti (per il fatto di essere sessualmente più
espliciti), un gruppo di ricercatori olandesi, guidati da Johanna van Oosten ha pubblicato un recente studio sul Journal of Adolescence. L’obiettivo era quello di capire quanto coloro che si “presentano” in modo sessualmente più esplicito tramite i profili sul web, fossero più disponibili ad intrattenere conversazioni o “ingaggi” finalizzati al sesso con chi li avesse contattati. Ulteriore proposito dello studio era quello di comprendere se, nel fare questo, ci fossero dei risultati diversi a seconda dell’età e del genere di appartenenza.La ricerca è stata condotta comparando un gruppo di 953 studenti (13-17 anni) con un gruppo di giovani adulti (18-25 anni), entrambi olandesi e con una equilibrata distribuzione di maschi e femmine.
Lo studio ha indagato, tramite interviste, il tipo (sessualmente esplicito o volto a catturare l’attenzione della propria cerchia di contatti sulla disponibilità sessuale o seduttività), la frequenza di pubblicazione di materiale ed il seguito che era stato dato a quest’ultimo (es: essersi coinvolti in attività di sexting con persone che contattavano tramite il profilo oppure essersi incontrati con lo scopo di avere una frequentazione sessuale).
Dai risultati è emerso che presentarsi con un profilo sessualmente più esplicito esponga maggiormente all’essere contattati per motivazioni attinenti una presunta disponibilità sessuale; inoltre è emerso che tra le giovani adolescenti (e non in tutti gli altri gruppi) ci sia una correlazione maggiore tra la presentazione “sexy” sui social e la tendenza a praticare sexting (ovvero lo scambio o l’invio di materiale sessualmente esplicito tramite chat, email o messaggi di testo).
Necessità di educare alla salute relazionale.
Tali risultati fanno molto riflettere sugli stereotipi di genere ma anche sul modo con cui vengono, talvolta, rinforzati. Considerare che avere nel proprio profilo foto in cui il corpo o l’estetica sono più evidenziate comporti negli altri la presunzione di una maggior “disponibilità” sessuale è qualcosa che sacrifica la volontà di esprimersi liberamente senza incorrere necessariamente nel giudizio altrui; dall’altra, la più alta tendenza a mettere in pratica tale disponibilità da parte delle ragazze fa pensare alla necessità di creare degli spazi di riflessione seri, come quelli strutturabili attraverso l’educazione sessuale a partire dalla giovane età. Tali spazi andranno pensati non solo per permettere un confronto adeguato tra il maschile e il femminile e sul modo di poter esprimere se stessi al meglio, ma un ulteriore focus di intervento dovrebbe essere quello della destrutturazione di stereotipi rigidi sui generi, sul loro modo di raccontarsi e di comunicare, promuovendo assertività e riconoscimento dei diritti e degli spazi di espressione.