Le Mutilazioni Genitali Femminili rappresentano una pratica tradizionale che affligge nel mondo milioni di donne e bambine, compromettendo il loro stato di salute psicofisica in modo grave e spesso irreversibile. L’Organizzazione Mondiale della Sanità le considera, infatti, violazioni dei diritti fondamentali della donna e le condanna fortemente.
Con il termine “Mutilazioni Genitali Femminili” (MGF) si intendono tutte quelle procedure che comportano la rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altri interventi dannosi agli organi genitali femminili per ragioni non terapeutiche. Esse vengono generalmente classificate in quattro tipologie principali, in base alla pratica eseguita: clitoridectomia, escissione, infibulazione e altre procedure dannose eseguite a scopo non medico.
L’OMS stima che le donne sottoposte a pratiche di mutilazione genitale siano, nel mondo, tra i 100 e i 140 milioni e che, ogni anno, sarebbero circa 3 milioni le bambine a rischio. Nello specifico, si tratta di pratiche profondamente radicate nella tradizione di Paesi soprattutto africani, ma presenti anche nel nostro continente: grazie ai flussi migratori, infatti, sono molte le donne e bambine mutilate che vivono in Europa e che subiscono tale pratica durante il periodo di vacanze nel Paese di origine dei genitori.
Le mutilazioni genitali sono generalmente praticate su soggetti molto giovani, in media ragazze che non hanno ancora compiuto 15 anni, anche se in alcune comunità possono essere eseguite anche su donne più adulte, alla vigilia del matrimonio o all’inizio della prima gravidanza e persino su donne che hanno appena partorito. Esse hanno un ruolo molto importante soprattutto nella definizione dell’identità di genere e nella formazione dell’appartenenza etnica, oltre che nella definizione dei rapporti tra i sessi e fra le generazioni.
Le MGF rappresentano, infatti, dei veri e propri riti di passaggio che regolano la vita delle bambine e ne scandiscono la transizione all’età adulta, e da cui dipendono l’accettazione e il rispetto all’interno della comunità. In alcune di esse, come in Sierra Leone, tale momento viene infatti celebrato con festeggiamenti, regali e riconoscimento pubblico. Una ragazza che non partecipa a tale pratica non solo non diventa donna, ma in senso più ampio non viene riconosciuta come persona, cioè non acquista il ruolo sociale che le compete per appartenenza biologica al sesso femminile e che si esprime nell’accedere ai ruoli di moglie e madre, che la società d’appartenenza considera come fondanti dell’identità femminile; di conseguenza dovrà affrontare il rifiuto e la stigmatizzazione da parte di tutta la collettività.
Per questo motivo, spesso, si ritiene che i benefici sociali della pratica, quali l’accettazione all’interno della comunità, l’identificazione, l’accesso alle risorse e le opportunità per il matrimonio, superino di gran lunga lo svantaggio che essa comporta alle donne e che questo sia uno dei principali motivi al mantenimento della tradizione.
Malgrado la loro grande diffusione, le MGF possono avere effetti devastanti sia sulla salute fisica, che psicologica e talvolta sessuale delle donne. Gli interventi di mutilazione genitale possono essere considerati infatti dei veri e propri atti chirurgici pur se praticati, nella maggioranza dei casi, in condizioni non igieniche, con l’ausilio di strumenti rudimentali e da personale spesso privo delle più elementari conoscenze medico-chirurgiche. L’utilizzo di materiali non idonei per la sutura e la cicatrizzazione, la mancanza di sterilità e il rischio che gli strumenti, molto spesso coltelli o frammenti di vetro, vengano utilizzati in successione su un gran numero di ragazze, espongono le persone che subiscono la mutilazione a un rischio di effetti collaterali molto elevato.
Inoltre, tali pratiche portano con sé un notevole impatto anche a livello psicologico, influenzando lo sviluppo ed il benessere di molte donne e lasciando un segno permanente nella loro vita. In generale è possibile riscontrare vissuti di ansia, senso di terrore, umiliazione e tradimento provati in particolare nei confronti dei propri genitori, che hanno deciso di operare la mutilazione quando ancora non era
possibile per la bambina scegliere o opporsi in maniera energica. Inoltre, tra le reazioni psicologiche si riscontrano disturbi dell’alimentazione e del sonno, disturbi dell’umore, incubi, fobie, attacchi di panico, disturbo post-traumatico da stress e depressione.
Malgrado non esistano ancora molti studi a riguardo, stando ad alcuni di essi la mutilazione genitale femminile sembra avere degli effetti importanti anche nella sfera della sessualità. Alcuni autori affermano infatti che la vita sessuale delle donne mutilate sia spesso compromessa a causa del dolore, della mancanza di desiderio, della paura e del disagio riscontrato nei rapporti sessuali.
La questione in merito sembra, però, essere alquanto controversa e pareri divergenti si scontrano su questo tema. Ѐ stato infatti dimostrato che quando la mutilazione è una condizione culturalmente determinata e accettata, l’esperienza del piacere sessuale e dell’orgasmo è presente in alta percentuale. Quando, invece, si crea un conflitto culturale tra la condanna occidentale delle MGF e i significati dati alla mutilazione dalla cultura d’origine, in particolar modo nel caso di donne migrate in Occidente, la frequenza dell’orgasmo si riduce, sebbene la situazione anatomica lo renda possibile. In generale, dunque, riuscire a comprendere il reale impatto che le mutilazioni provocano nella sessualità delle donne è davvero difficile: la mancanza di un’oggettiva comparazione tra l’esperienza sessuale precedente e quella posteriore alla mutilazione e soprattutto la grande difficoltà che queste donne sperimentano nel parlare apertamente delle loro esperienze intime, rende tale ambito certamente problematico da definire.
Il fenomeno delle Mutilazioni Genitali Femminili si configura dunque come un argomento molto delicato e complesso, fonte di accesa discussione e critica. Si tratta infatti di tradizioni che difficilmente l’Occidente comprende: molto spesso, quando culture e tradizioni diverse si trovano in contatto, risulta molto più facile condannare piuttosto che capire, determinando lo scontro di opinioni e valori, a maggior ragione quando si parla di pratiche così violente e pericolose.
Tuttavia, da alcuni anni diverse campagne di sensibilizzazione promosse da organizzazioni non governative, internazionali ed africane, tentano sempre più spesso di trovare un accordo ed aprire un dialogo con le etnie interessate. Ѐ impensabile, infatti, credere di poter risolvere il problema delle mutilazioni genitali soltanto attraverso l’introduzione di normative che ne puniscano l’esecuzione. L’intento legislativo, senza dubbio fondamentale per la salvaguardia della salute psicofisica di donne e bambine, può raggiungere
infatti i risultati sperati solo attraverso la comprensione, l’apertura e il dialogo con altre culture, mediante un percorso che tenti di capire i significati che sottostanno alle pratiche tradizionali e attraverso l’abbattimento di quei pregiudizi che talvolta si hanno nei confronti di ciò che non ci appartiene e non si conosce.
Dott.ssa Giada Mastrogregori