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Gender, o non gender, questo non è il problema!

Gender, o non gender, questo non è il problema!

GenderNonGenderNegli ultimi anni, in Europa, il significativo aumento di importanti fenomeni sociali, quali, ad esempio, gli atti di bullismo omofobico, il divieto di tenere raduni Gay Pride, le dichiarazioni di intolleranza da parte di alcuni capi religiosi, ha dato origine a un nuovo dibattito sulla diffusione dell’omofobia e della discriminazione contro l’identità di genere e l’orientamento sessuale.
L’articolo 13 del trattato della Comunità Europea, infatti, vieta qualsiasi discriminazione basata sull’orientamento sessuale e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE rappresenta la prima carta internazionale in materia di diritti dell’uomo in cui figura esplicitamente il termine “orientamento sessuale”. Tuttavia, la situazione sociale in diversi Paesi europei è ancora molto preoccupante. Nel 2007, quindi, il Parlamento Europeo invitava la nuova Agenzia per i Diritti Fondamentali a presentare una relazione comparativa e dettagliata sull’omofobia e la transfobia in tutti gli Stati membri dell’UE. Il quadro che ne è emerso ha dimostrato una situazione critica per i diritti dell’uomo delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e transgender.
Molti sono vittime di discriminazione, bullismo e molestie, anche sul posto di lavoro; spesso i rapporti di coppia non godono di pieni diritti giuridici e, in generale, tra la popolazione europea, c’è scarsa consapevolezza delle esigenze e delle condizioni di vita di molte persone LGBT. Queste forme di discriminazione, l’omofobia, la bifobia e la transfobia incidono sull’esistenza e sulle scelte delle persone LGBT in tutti gli ambiti della vita sociale, costringendole a vivere in una situazione di “invisibilità” che diventa spesso una forma preventiva di difesa. L’Italia e la lotta alla discriminazione sessuale e di genere: A seguito del programma promosso dal Consiglio d’Europa “Combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, nato per l’attuazione e l’implementazione della Raccomandazione del Comitato dei Ministri CM/REC (2010)5, è stata elaborata la “Strategia Nazionale per la prevenzione ed il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, predisposta e coordinata dall’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni), in collaborazione con le diverse realtà istituzionali, le associazioni LGBT e le parti sociali.
La Strategia Nazionale, recepita in Italia solo nel 2013, si concretizza in un piano GenderNonGender2triennale (2013-2015) di azioni integrate e multidisciplinari finalizzate al contrasto, alla rimozione e alla prevenzione delle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. Quattro sono gli ambiti sui quali si è deciso di intervenire, individuati in base ad un criterio di priorità e di criticità: lavoro, scuola, media, sicurezza e carceri. Per ciascuno di essi vengono definiti, in modo molto semplice e schematico, gli obiettivi e le misure specifiche da mettere in campo per promuovere la parità di trattamento e dare un forte impulso ad un processo di cambiamento culturale fortemente auspicato.
Si rimanda al seguente link per visionare nel dettaglio il documento ufficiale: http://www.pariopportunita.gov.it/images/strategianazionale_definitiva%20_logocoe nuovo.pdf
In Italia, l’attivazione di progetti educativi in linea con gli obiettivi delineati dalla “Strategia Nazionale” sopracitata (pari opportunità, abbattimento degli stereotipi di genere e rispetto della diversità), ha acceso una polemica nota ai più come “teoria del gender”. Diverse sono infatti le scuole finite al centro di contestazioni e polemiche, con l’accusa di voler diffondere un’ “ideologia del gender” e costituire così un “nuovo ordine mondiale”, privo di differenze sessuali, di promuovere una dilagante omosessualità, già in giovane età, e un allontanamento sempre più marcato dall’idea tradizionale di famiglia Occorre precisare però, che la tanto discussa “ideologia del gender” non ha in realtà alcun fondamento scientifico e non vi è alcuna definizione univoca e riconosciuta in grado di spiegarne il significato.
La presunta ricostruzione teorica dei principi, dei metodi e delle metodologie ad essa ricondotte, infatti, è per lo più presente su siti religiosi e confessionali in cui è possibile rintracciare, in realtà, un uso improprio di quello che invece si definisce “gender studies”: un approccio multidisciplinare e interdisciplinare allo studio dei significati socio-culturali della sessualità e dell’identità di genere che abbraccia la biologia, la sociologia, l’antropologia, la bioetica e la pedagogia. In esso si contrappone alla tradizionale divisione tra “maschi” “femmine” quella tra “sesso” e “genere”; il primo è costituito dal corredo genetico, il secondo è frutto anche e sopratutto della cultura.
Da tale filone, attento al rapporto tra individuo e società, tra individuo e cultura, deriva la necessaria distinzione tra:

  • Il sesso biologico: l’appartenenza biologica al sesso maschile o femminile che è determinata dai cromosomi sessuali.
  • L’identità di genere: indica il “sentimento di appartenenza” a un sesso piuttosto che all’altro e la sua consapevolezza è determinata dallo sviluppo evolutivo di ciascun individuo.
  • Il ruolo di genere: rappresenta ciò che una persona dice o fa per indicare a sé e agli altri il proprio grado di mascolinità o femminilità. Rappresenta la manifestazione della propria identità di genere e rimanda, più o meno consapevolmente, agli stereotipi dominanti della propria cultura, società e periodo storico.
  • L’orientamento sessuale: è l’attrazione affettiva e sessuale verso una persona. Esso non è necessariamente definito dal sesso di appartenenza; ne consegue che può esservi un orientamento etero, omo o bi diretto.

La conoscenza e la comprensione di tali concetti sono il primo presupposto per il superamento di stereotipi e pregiudizi nei confronti dell’omosessualità e del transessualismo e per avviare un concreto processo di rimozione delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sul genere. La scuola, più di altri, rappresenta un luogo d’elezione per favorire un sostanziale cambiamento in favore di una cultura tesa al reciproco e al mutuo rispetto e all’accettazione del proprio e/o dell’altrui orientamento sessuale e della propria e/o altrui identità di genere, senza costringere all’invisibilità.
GenderNonGender3Per questo motivo è importante renderla un ambiente sicuro e friendly, al riparo dalla violenza, dall’esclusione sociale o da altre forme di trattamenti discriminatori e degradanti. Per favorire tale processo, è importante la realizzazione di progetti didattici di prevenzione e d’intervento dei fenomeni di intolleranza e di violenza; allo stesso tempo prevedere una formazione e un aggiornamento per tutto il personale docente (e non) sui temi del bullismo omofobico e transfobico, e del cyberbullismo; in ultimo è necessario l’utilizzo di materiali didattici attenti alla comunicazione di informazioni oggettive sui termini sopra descritti.
Nel nostro Paese la percezione del fenomeno discriminatorio nei confronti delle persone LGBT, rilevata da un’indagine nazionale condotta nel 2011 dall’ISTAT, evidenzia che il 41% della popolazione italiana ritiene non accettabile un insegnante di scuola elementare omosessuale e che gli omosessuali/bisessuali intervistati dichiarano di aver subito discriminazioni a scuola o all’università, più degli eterosessuali (24% contro 14,2%). Quelli rilevati da tale indagine sono soltanto alcuni dei pregiudizi e degli stereotipi alla base dell’intolleranza e della violenza che in ambito scolastico si esprimono sotto forma di bullismo omofobico e transfobico con effetti devastanti per chi ne è fatto oggetto: si va dall’isolamento, all’abbandono e alla dispersione scolastica, alla violenza e alle molestie, per arrivare, nei casi più gravi, al suicidio. Alla scuola spetta quindi il compito educativo e formativo di rimuovere ogni forma di intolleranza, violenza, pregiudizio o discriminazione e per questo deve fornire un clima accogliente e sicuro in cui la “specificità” di ciascun individuo sia valorizzata e percepita come una risorsa per il singolo e per la collettività.