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Disfunzioni Sessuali e Differenze di Genere in Soggetti HIV+

Disfunzioni Sessuali e Differenze di Genere in Soggetti HIV+

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L’AIDS è una ben nota patologia immunologica cronica causata dal virus dell’ immunodeficienza umana (HIV) di cui si contano 33,3 milioni di infezioni in tutto il mondo (WHO, 2010). Questi dati sono purtroppo una sottostima dei casi reali, sia a causa dei problemi relativi ai costi delle analisi di laboratorio sia per la diffusa disinformazione che circonda la patologia (Starace, 2005). Il virus che si può trasmettere tramite diversi liquidi biologici (sangue, liquido pre- eiaculatorio, sperma, secrezioni vaginali, ecc) pone frequentemente l’individuo davanti alla paura concreta della morte. La patologia ha perciò un impatto consistente sulla qualità della vita della persona affetta, tuttavia non si deve sottovalutarne la vasta portata che essa ha anche a livello sociale ed economico.
Una delle difficoltà maggiori riscontrate dagli individui affetti da questa malattia è quella legata alla convivenza con sentimenti di impotenza, dipendenza e perdita di controllo della propria vita. L’AIDS influenza anche notevolmente il modo di pensare, di sentirsi, di essere e di intrattenere relazioni con gli altri. Le considerazioni fatte sul singolo individuo valgono anche per la coppia, sia nel caso in cui sia costituita da persone entrambe sieropositive (coppia sieroconcordante) sia nel caso in cui solo uno dei partner sia sieropositivo (sierodiscordante). I più recenti dati epidemiologici sull’infezione da HIV confermano l’aumento del numero di coppie con stato sierologico discordante (Bellotti, Bellani, 1997; Marinello et al., 2003).
La sessualità risulta essere uno degli aspetti maggiormente colpiti dalla patologia: uno studio francese condotto su vasta scala (Bouhnik et al., 2008) dimostra come le disfunzioni sessuali siano riportate dal 33,3% del campione indagato, sia maschile che femminile. In questa ricerca i valori immunologici non sembrano essere associati alla presenza delle disfunzioni sessuali, mentre risultano essere centrali nell’eziopatogenesi fattori quali, lo stigma dell’HIV, la lipodistrofia, l’utilizzo di antidepressivi, l’avere accesso ad un gruppo di sostegno HIV+, la presenza di sintomatologia dell’AIDS e la terapia HAART (terapia antiretrovirale altamente attiva).
Sono state condotte numerose ricerche per cercare di capire quali siano le disfunzioni sessuali più diffuse nella popolazione HIV+ e quali potrebbero essere i fattori eziologici alla base. Sul versante maschile, le difficoltà sessuali più diffuse sono la disfunzione erettile (DE) ed il disturbo da desiderio ipoattivo (DD). Esse si presentano in una percentuale molto variabile a seconda degli studi effettuati. Asboe e colleghi (2007) hanno riscontrato che il 33% del loro campione presentava una DE; mentre il 24% il DD. Età avanzata ed alti livelli di depressione sono state le variabili più costantemente associate alla presenza di queste disfunzioni. Hirshfield e colleghi (2010) riportano come l’HIV si configuri come una variabile aggiuntiva che aggrava una situazione di disfunzione già esistente. L’utilizzo del condom, inoltre, sembra aumentare l’ansia da prestazione nel 90% dei casi. Altri fattori associati all’insorgenza di una difficoltà sessuale nei pazienti HIV+ sono: un livello basso di CD4 e problemi psichiatrici. In aggiunta, studi internazionali mettono in evidenza come una non presa in carico delle disfunzioni, aumenti il risk taking dei soggetti affetti e quindi aumenti le possibilità di trasmissione della malattia. In aggiunta, alcune disfunzioni sessuali (DE, DD) sembrano essere più comuni in pazienti trattati con la terapia HAART a causa dell’utilizzo degli inibitori della proteasi (PI) (Schrooten et al., 2001; Sollima et al. 2001; Collazos et al., 2002; Siegel et al., 2006; Luzi et al., 2009; Moreno-Pérez et al., 2010). Altre ricerche però smentiscono la valenza di questo effetto collaterale dei farmaci (Lallemand et al., 2002).
Sul versante femminile, nonostante le ricerche siano quantitativamente minori, si rileva un panorama similmente variegato e differenziato. Una ricerca esplorativa condotta su un campione di 166 donne, evidenzia come le partecipanti presentassero una diminuzione significativa del funzionamento sessuale dal momento della diagnosi (Florence et al., 2004). La soddisfazione complessiva del rapporto sessuale sembra essere l’area più colpita del funzionamento sessuale. Lambert e colleghi (2005) riportano che nel loro campione solo il 28% delle donne aveva avuto rapporti sessuali dopo la diagnosi di sieropositività, nonostante il 59% avesse un partner. Nella stragrande maggioranza dei casi (84%) i rapporti sono rari e/o vengono evitati; inoltre, nelle coppie si riscontra un alto indice di difficoltà comunicativa (69%) e una forte presenza di disfunzioni sessuali (60%). Infine, sono stati riportati livelli di ansia e depressione clinicamente significativi nel 60% dei casi. Le donne sieropositive possono essere, inoltre, soggette ad un ciclo mestruale irregolare, più intenso, prolungato e/o doloroso, oppure possono addirittura non averlo. Di conseguenza, durante il periodo mestruale alcune donne dichiarano di percepire maggiormente la paura di trasmettere l’HIV e di avere più difficoltà sessuali ( Luzi et al., 2009; Wilson et al., 2010).
Come è possibile notare, i risultati delle ricerche sulla sessualità di questi soggetti sono spesso contrastanti: appaiono evidenti alcune incongruenze legate al campionamento (di frequente non sono ben chiari i parametri di inclusione ed esclusione dei soggetti), all’esiguità dei partecipanti nelle diverse ricerche, alle modalità di somministrazione degli strumenti di valutazione. Ciononostante, la letteratura ci fornisce una fotografia generale ma costante della sessualità nella popolazione HIV+ piuttosto “danneggiata”.
Come ogni patologia complessa, l’HIV/AIDS dovrebbe essere presa in carico in maniera globale, per garantire la salute e soprattutto il benessere della persona. Molto resta ancora da fare sotto il profilo medico e psicologico perché queste persone possano guadagnare di nuovo il piacere di vivere. Affinché sia possibile un’integrazione fra ambiti di intervento diversi è necessario che sia diffusa dalle autorità competenti un’idea sistemica delle branche che si occupano delle professioni di aiuto. In quest’ottica, l’aspetto indispensabile per una presa in carico efficace del problema, sembra essere rappresentato proprio dalla stretta collaborazione tra operatori, impegnati su versanti diversi, ma fortemente interconnessi tra di loro. La divisione dei ruoli, viceversa, genera inevitabilmente una frammentazione dei differenti aspetti dell’individuo, ostacolandone una comprensione approfondita ed olistica.